L'attimo in cui, magari dopo ore di faticoso cammino, si individua un minerale interessante è certamente fonte di emozioni impagabili per ogni ricercatore.
Ma si tratta anche di un momento delicato:
estrarre un campione senza una conoscenza adeguata delle tecniche di scavo può infatti pregiudicare irremediabilmente la qualità, se non addirittura rendere vani i propri sforzi.
Ecco dunque una serie di indicazioni generali su come affrontare i tipi di rocce più comuni e su come vanno maneggiati gli attrezzi indispensabili per lo scavo.
In ultimo, qualche consiglio per chi vuole setacciare i metalli dalle sabbie e, infine, un breve viaggio - destinato ai più esperti - nel mondo affascinante della ricerca dell'oro nei fiumi.
Dopo aver raggiunto la località prescelta, occorre fissare subito un piccolo campo base dove ciascun componente della comitiva sistemerà il proprio zaino e gli altri eventuali oggetti personali.
Il campo base deve essere ubicato abbastanza vicino al luogo di lavoro, in un sito possibilmente pianeggiante, giudicato privo di potenziali pericoli e dunque lontano da possibili frammenti, cadute di sassi, precipizi, forre (profonde gole a pareti verticali ), ripidi pendii.
Qualora fosse disponibile nelle immediate vicinanze, è preferibile utilizzare un qualsiasi ricovero naturale oppure artificiale sufficientemente sicuro.
La successiva operazione, indispensabile specialmente nel caso in cui la località non sia ben conosciuta, è l'accurata ricognizione dell'area che interessa.
Per meglio impiegare il tempo disponibile e avere maggiori possibilità di successo, è consigliabile suddividere le zone da esplorare tra i vari membri del gruppo.
Cosi facendo, in breve tempo verranno acquisite tutte le informazioni necessarie e sarà possibile cominciare nel modo più corretto e con buone prospettive la ricerca vera e propria.
Nel corso della ricognizione si devono valutare attentamente i vari fattori che condizioneranno il lavoro:
qualità e giacitura della roccia, modi di presentarsi dei minerali da estrarre, localizzazione dei punti più promettenti.
Dal risultato di queste valutazioni, infatti, dipende la scelta dell'attrezzatura più adeguata da impiegare.
Poichè solitamente in ogni località si individuano più punti adatti alla ricerca, è consigliabile che ciascuno svolga il proprio lavoro separatamente e a debita distanza dagli altri per evitare incidenti.
Certo, in caso di necessità, ogni membro del gruppo deve poter fare affidamento sulla collaborazione dei compagni.
Anche se l'esecuzione di queste operazioni è strettamente legata all'esperienza personale è fortemente condizionata da un serie assai variabile di situazioni oggettive, possono essere molto utili alcune indicazioni di carattere generale.
Quando la roccia da lavorare è parzialmente interrata, sarà necessario e conveniente evidenziarla maggiormente togliendole il terriccio circostante.
In tal modo si potranno notare gli eventuali proseguimenti delle vene o delle cavità mineralizzate osservate in superficie.
La modalità di attacco alla massa rocciosa variano sostanzialmente in funzione della natura e giacitura della roccia stessa e dei minerali da estrarre.
Una buona regola generale è quella di affrontare la roccia con mazza e mazzuolo, mediante colpi radi, ma secchi e precisi.
Lo stesso vale anche quando si usano strumenti come gli scalpelli o i cunei, che devono, però, prima essere introdotti molto saldamente nelle fessure per evitare fuoriuscite dell'attrezzo per il contraccolpo.
L'asportazione di druse o di geodi da rocce come il granito, il porfido o la trachite richiede un lavoro di grande pazienza e costanza.
Bisogna infatti scavare con un buon scalpello a punta attorno alla cavità che interessa (e a debita distanza dai cristalli) un solco abbastanza profondo, tanto da indebolire la roccia madre e poter quindi estrarre il campione ancora intero.
In talune rocce metamorfiche come gneiss, micascisti e serpentiniti, le litoclasi mineralizzate sono spesso disposte perpendicolarmente alla scistosità della roccia.
In tal caso è necessario cercare di togliere quanta più porzione mineralizzata è possibile.
Per far ciò occorre introdurre a breve distanza l'uno dall'altro, sulla stessa linea e nel senso della scistosità, prima degli scalpelli e poi dei cunei, battendoli alternativamente fino a ottenere l'effetto desiderato.
Agire direttamente in senso perpendicolare alla scistosità sarebbe fatica sprecata, perchè ben difficilmente la roccia si romperebbe.
I basalti e altre rocce vulcaniche contengono frequentemente degli inclusi ricchi di cavità riempite di bei materiali, immersi in una matrice di solito sterile (non metallica).
In questi casi è consigliabile prima enucleare l'incluso dalla matrice e poi romperlo.
I filoni pegmatitici e altri tipi di rocce filoniane vanno preferibilmente spaccati attaccandoli di lato, non di testa, usando scalpelli sufficientemente lunghi, o meglio il piede di porco, come leva per smuovere i pezzi ottenuti.
Nel caso di rocce sedimentarie stratificate (calcari, dolomie e simili), che possono avere talvolta un interesse mineralogico per la presenza di calcite, dolomite e noduli di pirite o marcasite, bisogna agire a seconda della situazione che si presenta e della giacitura degli strati:
cioè sollevando con l'aiuto della leva porzioni di strati rocciosi superficiali, che verranno poi frantumati, oppure, nel caso di strati impilati a formare pareti verticali, spaccando lateralmente.
È necessaria una particolare cautela se si rompono rocce che contengono minerali delicati (ciuffi di artinite, di zeoliti fibrose, di aragonite, ecc.):
vanno evitati i colpi troppo intensi e, quando la roccia tende a rompersi, bisogna agire manualmente con una leva per favorire la fessurazione e non provocare danni ai campioni.
In talune cave attive di gneiss o di granito si possono scoprire pareti ricche di cristalli, impossibili però da asportare integralmente perchè irraggiungibili.
Può allora essere d'aiuto l'uso del cosidetto rampino, che consente di toglierne almeno una parte dalla cavità.
Un caso particolare è rappresentato dai cristalli isolati di quarzo (molto raramente di altri minerali) che si trovano sciolti e mescolati alla terra.
In questa circostanza, per chi non si accontenta dei cristalli già in superficie, l'eventuale scavo diventa abbastanza semplice perchè avviene su un terreno solitamente morbido e privo di rocce.
Sono però richiesti almeno un picconcino e un piccolo badile per smuovere il terriccio.
Si tratta di solito dell'oro dei fiumi e di certe pietre dure e pesanti (zircone, granati, ilmenite) provenienti dal disfacimento di rocce magmatiche.
Per lo zircone e altri minerali l'operazione è abbastanza semplice:
La sabbia viene abbondantemente lavata in un catino con acqua corrente, agitando leggermente per allontanare del tutto il limo e le parti più leggere;
quindi la si asciuga e la si setaccia con crivelli a maglie via via più strette, esaminando ogni volta piccole porzioni di quanto passa attraverso il setaccio.
I vari minerali si riconoscono dalla forma, dal colore, dalla lucentezza e possono essere separati manualmente con l'aiuto di pinzetta e lente.
Per la magnetite si può ricorrere all'uso di una calamita.
La separazione dell'oro è invece più lunga e complessa e richiede un'attrezzatura specifica, oltre che particolari metodi di ricerca.
Si tratta sostanzialmente di porre determinate quantità di sabbia aurifera, debitamente vagliata e setacciata, sopra una tavola di legno stretta e lunga, con bordi laterali e dotata di varie scanalature trasversali e parallele, detta canaletta.
Questo attrezzo viene poi disposto nel fiume o nel torrente in modo che costantemente vi passi sopra una debole corrente d'acqua.
La polvere d'oro, a causa della sua alta densità, si deposita allora nelle scanalature, assieme ad altri minerali pesanti.
Il concentrato aurifero viene poi purificato mediante un piatto particolare chiamato batea o con altri attrezzi quali la trulla (una specie di badile quadrato con i bordi rialzati) o il bacile (simile alla trulla, ma senza manico).